Le immagini delle nostre città invase dalle inondazioni e dalle bombe d’acqua, dal Nord, al Centro, al Sud, fanno male al cuore. Siamo solidali coi nostri connazionali e ci mettiamo nei loro panni (fradici). Case, campagne, negozi, uffici devastati, oggetti importanti, da quelli di uso comune ai ricordi di una vita, rovinati, da buttar via. Ancor più male fanno i lutti, la perdita di vite umane. Poi ci sono stati, pochi mesi fa, tanti animali, interi allevamenti inghiottiti dalle acque.
Il nostro Paese è tanto bello e spettacolare quanto fragile e delicato. Avrebbe meritato maggiore rispetto. Ma in tutto il mondo si vedono le stesse immagini.
Su tutto il pianeta e in tutte e città costruite e abitate dai Sapiens inondazioni, siccità, incendi, scioglimento dei ghiacciai evidenziano ciò che gli scienziati prevedono da decenni e uomini di preghiera come Papa Francesco denunciano. Già negli anni ’80 l’allarme era stato lanciato. Nessuno se ne è curato. Quarant’anni di inerzia colpevole hanno portato a questo punto, in Italia, in Europa e in tutto il mondo. Prima che sia troppo tardi, è tempo di invertire la rotta.
Come abbiamo scritto nel nostro Manifesto, è necessario e urgente:
“ridurre il lavoro e i consumi materiali per renderli sostenibili ambientalmente, sia dal punto di vista dell’inquinamento, sia dal punto di vista del riscaldamento globale, che vanno entrambi drasticamente ridotti e non a spese dei comuni cittadini, ma piuttosto a partire da quelle classi privilegiate e più benestanti che ne sono maggiormente responsabili. I danni alla vita, alla salute e alla fertilità umana arrecati da tali disastri si ripercuotono su tutta la popolazione, a partire dai più poveri. […] Sottolineiamo la necessità assoluta e impellente di accelerare gli adeguamenti ai criteri di sostenibilità ambientale di ogni tipo di dinamica individuale, familiare, collettiva e imprenditoriale, facendo in modo che i costi della transizione ecologica non ricadano sui più deboli”.
I cittadini colpiti da questi fenomeni andrebbero indennizzati più che sostenuti con elemosine, perché non si tratta solo di calamità naturali. Ci sono precise responsabilità politiche, da parte delle classi dirigenti che non hanno fatto nulla o non hanno fatto abbastanza, in questi ultimi quarant’anni, per impedire che la crisi climatica precipitasse.
Quando passeremo dalla difesa degli interessi dei più forti e dei più ricchi e potenti alla tutela del bene comune e dei diritti di tutti? Ci riusciremo prima che sia troppo tardi?