George Grosz, “Germany, a Winter’s Tale”, 1919 (particolare). Immagine da MyDbook https://mydbook.giuntitvp.it/app/books/GIAC89_G8970105L/html/383
Le diseguaglianze, unite allo scontento profondo dei ceti medi, fanno la fortuna delle ultradestre, dei fascismi e dei nazismi di tutti i tempi.
Sarebbe profondamente sbagliato fare un parallelo tra i tempi che viviamo e la Germania uscita sconfitta e umiliata dalla Grande Guerra, cui si riferisce George Grosz in “Germania una favola d’inverno”, ma il caos infernale in cui galleggia l’insieme confuso e sconvolto di umanità ed elementi con al centro il borghese benestante seduto a bere la sana birra nazionale, incurante di tutto il resto ci offre una forte suggestione dell’oggi.
Forse può risultare non del tutto improprio ricordare il precedente della Repubblica di Weimar, in cui si arriva a stampare banconote da miliardi di marchi, guardando all’Argentina di oggi. È un parallelo azzardato ma ci sono alcuni meccanismi socioeconomici e politici che sembrano riproporsi.
Oggi l’ultradestra tedesca già molto radicata nell’Est ex DDR si rafforza ulteriormente anche nell’Ovest. I motivi sono profondamente diversi, rispetto a quanto avvenuto nel secolo scorso, eppure affondano parimenti le radici nelle diseguaglianze e nel disagio dei ceti medi, anche se si esprimono con l’intolleranza verso gli immigrati da paesi extra europei e il rifiuto dei disagi arrecati da una transizione ecologica che dovrebbero pagare per primi i più ricchi e invece rischia di pesare soprattutto sulla gente comune.
Un altro parallelo storicamente azzardato ci viene di farlo per l’Italia, dove cento anni fa il Fascismo veniva a ristabilire l’ordine contro i disagi arrecati dal cosiddetto “biennio rosso”, durante il quale operai e contadini cercavano di lottare per ottenere migliori condizioni di vita. I governi liberali avevano lasciato fare causando lo scontento dei ceti medi. Il risultato lo conosciamo.
Colpisce ricordare come il Censis abbia definito “incattivito” dal disagio economico il ceto medio italiano già prima della pandemia, nel 2018.
Nel frattempo, dal 2018, e accaduto di tutto e le condizioni di molti sono peggiorate ulteriormente.
La domanda fondamentale che ci poniamo e: PERCHÉ NON PARLARE DI REDDITO DI BASE, per combattere povertà, diseguaglianze, per restituire serenità e agiatezza ai ceti medi?
Quando si prova a toccare l’argomento sembra di toccare i fili elettrici. Si sente dire che la società non è pronta, i tempi non sono maturi. Queste considerazioni ci paiono del tutto inappropriate, prive di logica razionale, generate da una reazione emotiva con venature di pessimismo cosmico.
Il successo delle ultradestre di oggi (l’ultimo exploit è arrivato a sorpresa dall’Olanda) viene dalle diseguaglianze che si sono andate a cristallizzare da anni e hanno nuovamente assuefatto ampi strati di popolazione incattivita a vivere male e rispondere in maniera irrazionale e distruttiva.
Tale assuefazione al male va di pari passo con un rifiuto della realtà, che si manifesta in atteggiamenti antiscientifici, da un lato, e, dall’altro, con un progressivo distacco dalla vita civile, che può risultare esiziale per la democrazia.
L’unica risposta possibile è quella di perseverare nella ricerca di un approccio razionale ai problemi, anche quando tutto intorno è un trionfo di reazioni emotive, sconclusionate, caotiche, deliranti, come nel dipinto di Grosz, dove umanità ed elementi galleggiano inerti intorno agli interessi dei poteri forti, a cui fa molto comodo che tutto resti com’è.
Noi, al contrario, vogliamo che tutto cambi in meglio e il prima possibile. Prima che sia troppo tardi.